Laboratori Artistici Nicoli | La storia dei Laboratori Nicoli | |||||||
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Con l’unificazione degli stati italiani e la creazione del Regno d’Italia,
furono istituite le Camere di Commercio e gli studi di scultura Nicoli
vennero iscritti nei relativi registri nell’anno 1863, come “Ditta Prof.
Comm. Carlo Nicoli”. In realtà Carlo veniva ad assumere come propria ditta
individuale l’attività che da anni svolgeva con il padre Tito, bravo
ornatista attivo in un proprio laboratorio sulla via Carriona, lungo
l’omonimo fiume che scorre nella parte più antica della città di Carrara.
Fu solo con le prime grosse commissioni e spinto dall’esigenza di spazi
più ampi e luminosi, che Carlo trasferì gli Studi in una zona poco
urbanizzata a est della città, nell’attuale Piazza XXVII Aprile, dove fece
costruire i nuovi laboratori e la residenza di famiglia secondo la tipica
struttura architettonica della casa-bottega. Era il 1878. Le nuove costruzioni, con foresteria per gli artisti in soggiorno a Carrara, e abitazioni familiari in sede centrale, con i saloni per il modellato e gli ampi spazi del laboratorio principale, consentivano l’esecuzione di opere marmoree a carattere monumentale in tempi brevi, anche perché Carlo assunse a quel tempo alle proprie dipendenze un numero cospicuo di operai specializzati nella lavorazione artistica del marmo. Era stato lo scultore toscano Giovanni Dupré a sollecitare il Nicoli in tal senso: nel corso di tutta la Sua vasta opera in marmo, dall’Abele morente al Caino dell’Hermitage, dal Monumento a Marta Withfield in San Lorenzo alle lunette per la Chiesa di Santa Croce a Firenze avrebbe fatto riferimento al laboratorio carrarese per l’esecuzione dei suoi modelli, non mancando di venire a Carrara per seguire personalmente le fasi più decisive della finitura e della resa espressiva delle figure. Gli impegni imprenditoriali legati alla gestione delle opere per i maggiori scultori dell’epoca, non impedirono a Carlo Nicoli di portare avanti una propria attività di scultore, conseguendo prestigiose commissioni per Londra e l’Inghilterra, il ritratto del primo ministro britannico, Sir William Gladstone, e quello della Regina Vittoria, eseguito, pare, un totale di tredici volte fra le opere a mezzo busto e quelle a figura intera, collocati in varie città del regno, non esclusi i possedimenti della Commonwealth, e quindi Melbourne e Durban oltre a Brighton e Londra. Né queste ultime esauriscono la vitalità dello scultore Carlo Nicoli, che firmava in quello stesso periodo un Monumento alla Indipendenza del Brasile, un ritratto di Garibaldi per Montevideo in Uruguay e opere per gli Stati Uniti e il Messico. Nelle peregrinazioni al seguito delle fabbriche architettoniche delle grandi capitali europee, i maestri scultori e decoratori italiani che si erano particolarmente distinti potevano arrivare a vedere sanciti ufficialmente i loro meriti artistici con importanti riconoscimenti. Perciò non deve stupire che in data 5 Aprile 1877 per Decreto di Re Alfonso XII di Spagna fosse conferito a Don Carlo Nicoli il titolo di Cavaliere del Distinto Ordine Spagnolo di Carlo III. Era invece del 1882 il titolo di Commendatore dell’Ordine della Regina Isabella. Frattanto nelle sedi carraresi le maestranze eseguivano le opere del polacco Cyprian Godebsky, e quelle di Ettore Xiemenes ricordate per l’alto grado di virtuosismo tecnico maturato nel periodo, mentre Lorenzo Vela modulava una versione personale e più intimistica del linguaggio epico verista caratteristico del più noto fratello Vincenzo. Gino Nicoli Bronzo di Ettore XimenesCon lo scadere del secolo, la conduzione degli Studi Nicoli passava al figlio di Carlo, Gino, anch’egli bravo imprenditore oltreché scultore e Professore onorario all’Accademia di belle arti cittadina. La sua produzione artistica non raggiunse mai i successi del padre, che era riuscito a portare il proprio nome da un capo all’altro del globo partendo dalle Americhe centro-meridionali per sobbalzare nell’odierna Thailandia e in Australia. Ma fu acuto e sapiente nella gestione degli affari, seguendo con le maestranze le commissioni degli scultori più eccellenti dell’epoca, e accompagnandole non di rado fino a destinazione, per curare le istallazioni in loco. Con la successione generazionale prendevano piede i nuovi soggetti e motivi dovuti all’evoluzione stilistica, del gusto e delle idee. Si registrava, nei locali degli Studi Nicoli, un rapido passaggio dai soggetti celebrativi e naturalistici del tardo Ottocento ai modi pastosi e movimentati del periodo simbolista, Liberty e Jugendstil. Principale rappresentante di questo mutamento epocale fu Leonardo Bistolfi, che si rivolse a Gino Nicoli per tutta la sua produzione in marmo, di cui si può ricordare a titolo esemplificativo, gli imponenti Monumento a Giosué Carducci per la Città di Bologna, voluto dalla regina Margherita di Savoia, o tutta la decorazione scultorea del Palacio de bellas artes a Città del Messico. Sotto la sapiente mano delle maestranze specializzate degli Studi Nicoli, centinaia di tonnellate di marmo vennero trasformate nell’allegoria delle vicende risorgimentali, nel volto del poeta, nella rappresentazione di Armonia che sorge dal coro degli amanti e puttini musicanti. Alla morte di Gino, e con l’avvento di Ruggero Nicoli, gli Studi Nicoli videro rafforzato l’impianto industriale dell’azienda, con un titolare laureato in Economia all’università di Genova che non praticò mai personalmente l’attività artistica, e una squadra di operai formati in bottega dai loro stessi padri. Si contava all’epoca un numero di trenta operai, cui aggiungere due addetti agli uffici. Erano gli anni trenta, e anche i laboratori Nicoli vennero coinvolti nell’avventura del Foro italico: la definizione di un “moderno classicismo” era demandata ad una serie di imponenti colossi marmorei stagliati sulle bianche scalinate della razionale ellissi olimpionica: i grandi atleti, i pugili, i tiratori con l’arco. Frattanto un cugino del Nicoli, il grande futurista Enrico Prampolini apportava aria nuova ai locali di famiglia, introducendovi i primi germi delle tipiche sperimentazioni dell’arte d’avanguardia: fin dagli anni intorno al 1908 e 1911 Prampolini veniva creando opere quali “les beguineuses”, che costituiscono ancor oggi una pietra miliare nel processo di maturazione del linguaggio astratto, quando addirittura non vi si riconoscano certi accenni alla concezione di uno spazio dell’arte come radicalmente altro. La rivoluzione culturale, che fu tenuta lontana dagli altri studi di scultura più legati alle tecniche tradizionali determinandone la fine, implicò invece la continuità e la presenza centrale degli Studi Nicoli nelle imprevedibili vicende della plastica contemporanea. Fu fatale ai molti laboratori carraresi dell’epoca l’atteggiamento di chiusura con cui accolsero le avanguardie: l’enfasi sulle abilità caratteristiche del fare arte, rispetto alle quali parevano digiuni i pionieri del nuovo, ignoranti del disegno e della storia dell’arte, del tutto estranei al bel mestiere. Della grande tradizione dei laboratori artistici di Carrara, imprese del settore della lavorazione nel campo dell’industria marmifera che erano strutturate con operai aventi ciascuno la propria mansione e una direzione svincolata dalla attività manuale, lo studio Nicoli è l’unico che sopravvisse a quel grande mutamento epocale, potendo vantare oggi all’attivo i passati, 150 anni. Uscito dalla generale crisi dei grandi Studi di Scultura che brulicavano ancora numerosi a Carrara nel tardo Ottocento, ha avuto un ruolo centrale nell’affermazione delle più avanzate tendenze delle centinaia di avanguardie succedutesi fin quasi a venire al collasso sul finire del ‘900. Tutti, fino alle ultime correnti della transavanguardia, dei citazionisti e dell’arte povera, sono passati di qui. Negli anni ‘30, Sironi e Arturo Martini - e come non citare Fausto Melotti -, frequentarono lo Studio Nicoli portando avanti, ciascuno a suo modo, ricerche ed esperimenti, che segnarono il conflitto fra una generazione d’avanguardia e il periodo del ritorno all’ordine. Sotto la loro spinta si ebbe un vero stravolgimento nella tecnica della lavorazione artistica del marmo: ne La donna che nuata sott'acqua Martini giunse a rovesciare la procedura usuale imponendo alle maestranze di tornare con colpi di scalpello sul lavoro lucidato e finito; Melotti tornò al figurativo dall’astrattismo cui era pervenuto nei primi anni milanesi, e superò addirittura queste rigide classificazioni insegnando agli operai ad apprezzare le semplificazioni di una figurazione astratta che, con il gruppo de I sette savi, diveniva icona della modernità, quasi una prefigurazione delle odierne istallazioni. Quella stessa apertura ha reso gli operai-esecutori, lo smodellatore, il finitore, il lustratore, l’ornatista etc., o i loro figli, capaci, in tempi più recenti, di ricevere i seguaci di Arp in arrivo da Parigi ed eseguire le loro opere, pronti, curiosi di seguire tutte le loro nuove esigenze. In quegli anni la ditta sopravvisse anche grazie alla salutare
istituzione di una società fra la vedova di Ruggero, Franca Nicoli e il
valido capo Carlo Andrei, primo sindaco di carrara nell’immediato dopoguerra
e persona rispettabilissima. La S.I.C.M.A.S passò poi di mano al
discendente di Ruggero, Carlo, che tuttora la conduce con taglio derivante
dalla sua formazione di avvocato. |
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